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The Vis Master
04-09-2006, 15:23
http://www.inter.it/img/gf/gf_hpv500.jpgGiacinto Facchetti ci ha lasciato troppo velocemente per non confondere, in questi attimi, il dolore e la rabbia, il senso d’ingiustizia e la preghiera. Ci ha lasciato dopo aver giocato, con determinazione e stile, l’ultima partita. Spinto nel campo del dolore da un destino nascosto, improvviso, bastardo.
L’atleta, nella testa e non solo nel fisico, nella morale e nei riti di una vita quotidiana all’insegna della lealtà e dello sport, ha lasciato il posto all’uomo di 64 anni sorpreso, colpito, ferito, ma non vinto. Ha stretto i denti, ha combattuto sorretto dall’affetto dei suoi cari, di Massimo Moratti, di tutta l’Inter e di tutti gli interisti, mai abbandonato dal campionato infinito di amici che aveva, che ha, che lascia attoniti, storditi, in Italia e nel mondo.
Oggi ci ha lasciati il diciannovesimo presidente della storia dell’Inter, il campione nerazzurro e azzurro indimenticato e indimenticabile, il dirigente italiano stimatissimo in Fifa e Uefa, il marito, il padre, il nonno, l’amico.
Oggi ci ha lasciato Giacinto Facchetti, una persona per bene.



È successo tutto in un maledettissimo giorno uguale a tanti altri. Un giorno senza segnali, senza avvertimenti, un giorno col cielo al suo posto, e non c’era modo di capire che un attimo dopo, si sarebbe capovolto. Quanto ci mettono a dirti che il tempo ti si è ristretto e non hai più garanzie? Pochissimo.
Per Giacinto Facchetti, quel giorno era stato fino a quel momento normale. Poi è seguito il silenzio. Lo chiedeva lui, anzi lo chiedeva quella famiglia così incredibilmente bella e unita che aveva intorno, con lui faceva un tutt’uno, erano qualcosa di raro, i Facchetti, tutti avremmo voluto una piccola parte in una famiglia così. Adesso, anche a loro, resta questo.
Le immagini di un ragazzo diventato uomo correndo dietro a un pallone, e rimane una grande lezione di vita, perché era un uomo pacato capace di grandi slanci, corretto fino all’inverosimile, per cui nemico acerrimo di tutte le slealtà, fortissimo, integro, figlio della provincia ma abituato a sedersi a qualsiasi tavola.
Era un uomo da re e da operai. Era un amico leggendario. Era un eroe da romanzo, Arpino lo sapeva bene. Un romanzo di vita, di classe, di essenzialità.
La prima cosa che faceva dopo le partite, era chiamare casa, i suoi figli, e Massimo Moratti. Troppe volte, quando qualcuno scompare, di lui si cercano le solo cose buone.Il fatto è che di Giacinto Facchetti puoi dire solo quelle, che di cose cattive non ne trovi. Le malattie sono bastarde. Colpiscono a caso, non interessa se uno è stato buono, cattivo, perfido. Se lascia molto amore o poco. Giacinto lascia senz’altro molto amore, e quindi un infinito dolore, dietro di sé. Ma forse è sempre così. Una cosa è la conseguenza dell’altra.
Vengono in mente tante cose. Quando raccontava di suo nonno che aveva l’Unità in tasca, e quando invece parlava del suo oratorio, dove giocava da piccolo. L’attenzione affettuosa, mai abbandonata, con cui si riferiva a Helenio Herrera. I diari del Mago li aveva tenuti lui.
L’amicizia profonda, nata che erano due ragazzi, che lo ha legato a Massimo Moratti. Fino all’ultimo, uno c’è stato per l’altro, e l’altro c’era. Credendo in un miracolo, perchè tutti ci abiamo creduto. Se c’era un uomo che se lo meritava, quello era Giacinto Facchetti. Ed era talmente forte, talmente integro, che a volte il miracolo sembrava arrivare.
La rabbia che lo prendeva quando capiva che ci stavano fregando, e lo facevano da tanto, troppo tempo.
La fretta con cui si alzava da tavola, negli alberghi, se c’era una partita in televisione.
La chiarezza con cui inquadrava caratterialmente un giocatore.
Il suo odio per il fumo, su questo era intransigente.
La gentilezza con cui parlava. La lettera che scrisse alla sorella di George Best, lo scorso anno, in ricordo di un campione diversissimo da lui, ma che aveva sempre stimato.
E la dignità con cui passò oltre la scomparsa della propria sorella, cancro, anche lei, e invece la felicità del suo primo giorno da nonno.
La fermezza che aveva. I suoi occhi, così chiari. L’amicizia che dava e che ci si trovava a dargli. Lunghe ore a parlare, a valutare, a raccontarsi. Storie di calcio e di vita, giorni buoni e cattivi, una tale infinità di giorni insieme da pensare che non sarebbero finiti mai. E poi, mai così. Fino a quel giorno in cui ci ha chiesto silenzio e tutti abbiamo obbedito, stando ad aspettare un miracolo.
Quando le cose finiscono, ti chiedi dove vada a finire tutto questo, se in cielo, in un’altra dimensione o in niente. Certo, ti resta nel cuore. Ma in questo momento, per tanti di noi è un cuore spezzato. È andato a pezzi in un giorno maledettamente uguale a tanti altri. Senza segnali, senza avvertimenti, col cielo che se ne stava come sempre al suo posto.
Si è capovolto all’improvviso.

LA CARRIERA

Giacinto Facchetti nasce a Treviglio, in provincia di Bergamo, il 18 luglio 1942. Inizia a giocare a calcio nella squadra del suo paese, ma è portato per lo sport in generale, infatti ottiene buoni risultati anche nei campionati giovanili di atletica leggera. Già a sedici anni è un promesso campione del pallone, conteso dall’Atalanta, la società di Bergamo, e dall’Inter che, alla fine, si aggiudica il ragazzo dal fisico poderoso e che, in maglia nerazzurra, diventerà una leggenda.
Facchetti esordisce nel massimo campionato italiano di calcio il 21 maggio 1961 allo stadio “Olimpico” di Roma: l’Inter vince 2-0. La domenica dopo, a Milano contro il Napoli, Facchetti segna il primo dei 59 gol realizzati con la maglia nerazzurra. E’ Helenio Herrera, l’allenatore dell’Inter più forte di sempre, dell’Inter che ha saputo vincere scudetti, Coppe Campioni e Coppe Intercontinentali, che esalta al massimo le qualità di Facchetti: terzino sinistro, sa difendere e attaccare, è talmente bravo in fase offensiva che, alcune volte, viene schierato persino nel ruolo di attaccante.
Facchetti, da calciatore, nell’Inter vince 4 campionati italiani, 2 coppe dei Campioni, 2 coppe Intercontinentali, 1 Coppa Italia. In totale, con la maglia nerazzurra, disputa 476 partite di campionato. Straordinaria anche la sua carriera nella Nazionale italiana: 94 partite, per 70 volte capitano della squadra azzurra, campione d’Europa nel 1968 e vice-campione del Mondo nel 1970 in Messico.
Conclusa la carriera da calciatore, Facchetti intraprende quella da dirigente. Sempre e comunque al fianco dell’Inter, società per la quale ricopre diverse cariche: da vice-presidente a “ambasciatore” nel mondo, da membro del Consiglio d’Amministrazione a direttore tecnico. Il 30 gennaio 2004 Massimo Moratti gli lascia la massima carica: Facchetti è il primo calciatore della storia nerazzurra a essere nominato Presidente. Sotto la sua gestione l’Inter vince uno scudetto, due edizioni della Coppa Italia e due della Supercoppa Italiana.
Da sempre considerato un calciatore simbolo del calcio mondiale, ricopre divese cariche istituzionali anche in Fifa e Uefa insieme con i grandi campioni che hanno scritto la storia dello sport.

Venom89
04-09-2006, 15:29
MILANO, 4 settembre 2006 - “Se ne è andata l’ultima bandiera”: frase sempre evocativa, spesso retorica e soprattutto fuori moda in un calcio business e senza anima. Ma questa volta possiamo proprio dire che l’ultima bandiera ha smesso di sventolare e, purtroppo, per sempre. Piange l’Inter, piange il mondo del calcio, per l’addio di Giacinto Facchetti, spentosi a 64 anni dopo una malattia dura e terribile, quanto veloce nel strapparlo ai propri affetti. Giacinto aveva scoperto il male solo pochi mesi fa. Muore un mito, muore il capitano per eccellenza, ma si sa che i miti sono immortali e allora sembra di vederlo ancora lì. Sulla fascia sinistra ad interpretare per primo il ruolo di terzino fluidificante; a guardare la monetina che sanciva la vittoria italiana nell’Europeo casalingo del 1968; stampato per sempre nella formazione-mantra Sarti-Burgnich-Facchetti e via dicendo della Grande Inter di Helenio Herrera; monumento azzurro capace di accompagnare l’Italia attraverso 3 Mondiali con la folle e storica notte di Italia-Germania 4-3 a Messico ’70; e alla fine di recitare il ruolo di presidente nell’Inter di Massimo Moratti dopo aver fatto grande i nerazzurri di papà Angelo.
GLI INIZI Giacinto era nato a Treviglio, provincia di Bergamo, il 18 luglio 1942: non ha mai abbandonato le sue radici (abitava a Cassano d’Adda) perché amava vivere nel verde dove ritrovava l’equilibrio. Padre ferroviere, madre casalinga, un fratello e tre sorelle: ambiente sereno e pulito, il massimo per crescere una speranza. Il grande amore con l’Inter nasce però da uno “sgarbo”. Facchetti venne raccomandato a 16 anni da Meazza per un provino all’Inter, ma venne scartato dai soloni della società. Lui si rivolse all’Atalanta, firmò, ma un factotum della società milanese lo convinse a rimanere inattivo fino a novembre e quindi passare all’Inter. Era il 1958, l’inizio della leggenda. Lo spilungone di Treviglio strappato all’atletica, lavora sodo: mattina a scuola, panini al volo, poi di corsa alla stazione (accompagnato in bici dal papà), treno, tram, allenamenti e ritorno.
LA GLORIA Herrera lo vede e intuisce la stoffa del campione, fino a farlo debuttare il 21 maggio 1961 in Roma-Inter 0-2. La settimana dopo ancora in campo e partita sbloccata con un gol in Inter-Napoli 3-0. Facchetti cresce, supera le critiche di San Siro per una stagione opaca e nel 1963 si laurea campione d’Italia per la prima volta. E’ l’anno della conferma perché il 27 marzo debutta con l’Italia ad Instanbul con la Turchia (0-1). Non si sfilerà più la maglia azzurra: 94 presenze, 70 da capitano e 3 gol con il trionfo dell’Europeo 1968 e il titolo di vice-campioni del mondo nel 1970. Il Mago Herrera lo trasforma nel primo terzino-bomber della storia, il primo terzino fluidificante che attacca sulla fascia, il punto di riferimento di sua maestà Beckenbauer. Nel 1964 perde lo spareggio scudetto con il Bologna, ma si rifà con la Coppa Campioni e Intercontinentale. Il bis nel 1965 in Europa, nel Mondo e anche in Italia con il secondo scudetto. Il 1966 porta ancora tricolore e la prima fascia di capitano con l’Italia: a Milano il 1° novembre nel successo sull’Urss dopo la disfatta mondiale con la Corea del Nord (il ricordo più doloroso della carriera).
LA FAMIGLIA Le vittorie si accoppiano con lo stile, l’eleganza e la serietà. Il matrimonio con il nerazzurro è felice e nel 1967 si “affianca” a quello di vita con l’amata Giovanna, conosciuta in una balera di Rivolta d’Adda. Viaggio di nozze ad Orvieto: lui in caserma per servizio militare, lei in una pensioncina. Quattro figli coroneranno il sogno d’amore: Barbara, Vera, Gianfelice e Luca (attaccante con carriera in serie C e D). Sul campo Giacinto gioca e vince: il quarto scudetto arriva nel 1971 e l’ultimo successo è la Coppa Italia del 1978, quando la carriera è al termine. Saluta il campo a 36 anni, il 7 maggio ’78 in Inter-Foggia 2-1 con un autogol: quasi una beffa del destino per il terzino goleador che aveva collezionato 475 partite in serie A con 59 gol (634 in totale con 75 gol), tutto con la maglia nerazzurra.
IL PRESIDENTE Dopo una brevissima parentesi di 9 mesi da vicepresidente dell’Atalanta nel 1980 (sempre il nerazzurro…), Giacinto rientrò in orbita Inter come dirigente nel 1985 con Pellegrini. Dieci anni dopo arriva Massimo Moratti: il simbolo è sempre al suo fianco, nel novembre 2001 diventa vicepresidente, soffre per il 5 maggio e dal gennaio 2004 è la bandiera del club. Miglior persona non si poteva trovare come 19° presidente dell’Inter, miglior carriera nerazzurra non poteva capitare al “Cipe”, come lo chiamava il Mago Herrera dopo che Buffon gli aveva storpiato il cognome in “Cipelletti” nel ’60.
L’UOMO Lascia un uomo tutto di un pezzo: venne definito “terzino e gentiluomo”. Troppo poco per un giocatore che chiuse la carriera con la Nazionale come capitano non giocatore nel 1978. Poteva ribellarsi ad un ruolo non suo: invece zero polemiche, aiutò sempre Bearzot nel Mondiale argentino e trovò la “gloria letteraria” nell’eroe di “Azzurro tenebra”, il romanzo di Giovanni Arpino, suo grande amico e padrino di Gianfelice. Il gigante che da piccolo sognava di fare il muratore, perché era felice quando dal primo piano di una casa in costruzione poteva tuffarsi su un mucchio di sabbia, chiudeva una carriera esemplare (un solo rosso per un applauso ironico all’arbitro Vannucchi nel 1975 con San Siro) tra i dolci ricordi e la consapevolezza di essere un simbolo del calcio italiano. Sempre a testa alta, in campo e fuori, amato dagli interisti e non solo. Ci mancherà, sembra retorica, ma non lo è.

gazzetta.it

Faisc
04-09-2006, 15:46
addio caro presidente....

Dampyr
04-09-2006, 15:51
Avrei da ridire... ma questo è il momento del rispetto.
Riposa in pace.

francamdar
04-09-2006, 16:37
*

lubacardica
04-09-2006, 16:47
:(

Aethiss
04-09-2006, 16:54
:(

fr ju
04-09-2006, 17:22
mi spiace

papclems
04-09-2006, 17:55
*

Tanis Mezzelfo
04-09-2006, 18:04
*

Dampyr
04-09-2006, 18:08
La Juventus si unisce al dolore per la scomparsa di Facchetti

La Juventus F.C. apprende con infinita tristezza la notizia della scomparsa di Giacinto Facchetti e si unisce al dolore della sua famiglia, dell’Inter e dei suoi tifosi e di tutti gli sportivi italiani per la perdita di un simbolo e di una bandiera del calcio mondiale.

Cobolli: “Una grave perdita”

“Giacinto Facchetti era un vero sportivo e la sua scomparsa è una grave perdita, per tutto il mondo del calcio”. Il presidente della Juventus Giovanni Cobolli Gigli si unisce al lutto che ha colpito lo sport italiano: “Sono vicino alla famiglia, cui porgo le mie più sentite condoglianze, e all’Inter e ai suoi tifosi che hanno perso un presidente e un uomo di grande valore”.

ReibeN
04-09-2006, 18:42
*

jons
04-09-2006, 19:23
*

Hyypia
04-09-2006, 19:44
*

Calaiò
04-09-2006, 20:13
*

flepp
04-09-2006, 20:25
*

brasil
04-09-2006, 20:49
*

jackfrost2
04-09-2006, 21:00
*

mattmast
04-09-2006, 21:15
*

ronci81
04-09-2006, 21:38
Mi spiace veramente. :( :(
Riposi in pace

RedAndBlu
04-09-2006, 21:50
Ti sia lieve la terra (cit. Gianni Brera)

bellin1
04-09-2006, 21:52
unito al cordoglio dell internazionale.
*

xxxblueyesxxx
04-09-2006, 22:07
*

Gilardino20
04-09-2006, 23:38
*

Bloppo
05-09-2006, 00:53
Uno dei pochi uomini che erano grandi sia nel calcio che nella vita...una grande personalità.
Ci mancherà
*

Dampyr
07-09-2006, 01:32
Reso il doveroso omaggio, si inizi a sollevare il velo di omertà su quegli anni. Evitiamo se possibile di buttarla in caciara facendone una questione di tifo, vorrei fosse una riflessione su chi c'ha lasciato la vita. Riporto questo link http://espresso.repubblica.it/dettaglio-archivio/1212999 , e qui di seguito il testo completo


Pasticca nerazzurra

di Alessandro Gilioli

Pillole nel caffè. Che Herrera dava ai giocatori. Molti dei quali sono morti. Un ex racconta il doping della Grande Inter. E chiama in aula tutti i campioni di allora colloquio con Ferruccio Mazzola

Sono campioni che hanno fatto la storia del calcio italiano quelli che passeranno, uno dopo l'altro, in un'aula del tribunale di Roma a parlare di doping. Come Giacinto Facchetti, splendido terzino sinistro e oggi presidente dell'Inter; o come Sandro Mazzola, Mariolino Corso, Luis Suarez. E ancora: Tarcisio Burnich, Gianfranco Bedin, Angelo Domenghini, Aristide Guarneri. Tutti chiamati a testimoniare da un loro compagno di squadra di allora, Ferruccio Mazzola, fratello minore di Sandro, che vuole sentire dalla loro voce - e sotto giuramento - la verità su quella Grande Inter che negli anni '60 vinse in Italia e nel mondo. «Non l'ho cercato io, questo processo: mi ci hanno tirato dentro. Ma adesso deve venire fuori tutto», dice Ferruccio.

A che cosa si riferisce, Mazzola?
«Sono stato in quell'Inter anch'io, anche se ho giocato poco come titolare. Ho vissuto in prima persona le pratiche a cui erano sottoposti i calciatori. Ho visto l'allenatore, Helenio Herrera, che dava le pasticche da mettere sotto la lingua. Le sperimentava sulle riserve (io ero spesso tra quelle) e poi le dava anche ai titolari. Qualcuno le prendeva, qualcuno le sputava di nascosto. Fu mio fratello Sandro a dirmi: se non vuoi mandarla giù, vai in bagno e buttala via. Così facevano in molti. Poi però un giorno Herrera si accorse che le sputavamo, allora si mise a scioglierle nel caffè. Da quel giorno "il caffè" di Herrera divenne una prassi all'Inter».

Cosa c'era in quelle pasticche?
«Con certezza non lo so, ma credo fossero anfetamine. Una volta dopo quel caffè, era un Como-Inter del 1967, sono stato tre giorni e tre notti in uno stato di allucinazione totale, come un epilettico. Oggi tutti negano, incredibilmente. Perfino Sandro...».

Suo fratello?
«Sì. Sandro e io, da quando ho deciso di tirare fuori questa storia, non ci parliamo più. Lui dice che i panni sporchi si lavano in famiglia. Io invece credo che sia giusto dirle queste cose, anche per i miei compagni di allora che si sono ammalati e magari ci hanno lasciato la pelle. Tanti, troppi...».

A chi si riferisce?
«Il primo è stato Armando Picchi, il capitano di quella squadra, morto a 36 anni di tumore alla colonna vertebrale. Poi è stato il turno di Marcello Giusti, che giocava nelle riserve, ucciso da un cancro al cervello alla fine degli anni '90. Carlo Tagnin, uno che le pasticche non le rifiutava mai perché non era un fuoriclasse e voleva allungarsi la carriera correndo come un ragazzino, è morto di osteosarcoma nel 2000. Mauro Bicicli se n'è andato nel 2001 per un tumore al fegato. Ferdinando Miniussi, il portiere di riserva, è morto nel 2002 per una cirrosi epatica evoluta da epatite C. Enea Masiero, all'Inter tra il '55 e il '64, sta facendo la chemioterapia. Pino Longoni, che è passato per le giovanili dell'Inter prima di andare alla Fiorentina, ha una vasculopatia ed è su una sedia a rotelle, senza speranze di guarigione...».

A parte Picchi e forse Tagnin, gli altri sono nomi meno noti rispetto ai grandi campioni.
«Perché le riserve ne prendevano di più, di quelle pasticchette bianche. Gliel'ho detto, noi panchinari facevamo da cavie. Ne ho parlato per la prima volta qualche mese fa nella mia autobiografia ("Il terzo incomodo", scritto con Fabrizio Càlzia, Bradipolibri 2004, ndr), che ha portato al processo di Roma».

Perché?
«Perché dopo la pubblicazione di quel libro mi è arrivata la querela per diffamazione firmata da Facchetti, nella sua qualità di presidente dell'Inter. Vogliono andare davanti al giudice? Benissimo: il 19 novembre ci sarà la seconda udienza e chiederemo che tutti i giocatori della squadra di allora, intendo dire quelli che sono ancora vivi, vengano in tribunale a testimoniare. Voglio vedere se sotto giuramento avranno il coraggio di non dire la verità».

Ma lei di Facchetti non era amico?
«Sì, ma lasciamo perdere Facchetti, non voglio dire niente su di lui. Sarebbero cose troppo pesanti». Pensa che dal dibattimento uscirà un'immagine diversa dell'Inter vincente di quegli anni? «Non lo so, non mi interessa. Se avessi voluto davvero fare del male all'Inter, in quel libro avrei scritto anche tante altre cose. Avrei parlato delle partite truccate e degli arbitri comprati, specie nelle coppe. Invece ho lasciato perdere...».

Ma era solo nell'Inter che ci si dopava in quegli anni?
«Certo che no. Io sono stato anche nella Fiorentina e nella Lazio, quindi posso parlare direttamente anche di quelle esperienze. A Firenze, il sabato mattina, passavano o il massaggiatore o il medico sociale e ci facevano fare delle flebo, le stesse di cui parlava Bruno Beatrice a sua moglie. Io ero in camera con Giancarlo De Sisti e le prendevamo insieme. Non che fossero obbligatorie, ma chi non le prendeva poi difficilmente giocava. Di quella squadra, ormai si sa, oltre a Bruno Beatrice sono morti Ugo Ferrante (arresto cardiaco nel 2003) e Nello Saltutti (carcinoma nel 2004). Altri hanno avuto malattie gravissime, come Mimmo Caso, Massimo Mattolini, lo stesso De Sisti...».

De Sisti smentisce di essersi dopato.
«"Picchio" in televisione dice una cosa, quando siamo fuori insieme a fumare una sigaretta ne dice un'altra...».

E alla Lazio?
«Lì ci davano il Villescon, un farmaco che non faceva sentire la fatica. Arrivava direttamente dalla farmacia. Roba che ti faceva andare come un treno».

Altre squadre?
«Quando Herrera passò alla Roma, portò gli stessi metodi che aveva usato all'Inter. Di che cosa pensa che sia morto il centravanti giallorosso Giuliano Taccola, a 26 anni, durante una trasferta a Cagliari, nel '69?».

Ma secondo lei perché ancora adesso nessuno parlerebbe? Ormai sono - siete - tutti uomini di sessant'anni...
«Quelli che stanno ancora nel calcio non vogliono esporsi, hanno paura di rimanere tagliati fuori dal giro. Sono tutti legati a un sistema, non vogliono perdere i loro privilegi, andare in tv, e così via. Prenda mio fratello: è stato trattato malissimo dall'Inter, l'hanno cacciato via in una maniera orrenda e gli hanno perfino tolto la tessera onoraria per entrare a San Siro, ma lui ha lo stesso paura di inimicarsi i dirigenti nerazzurri e ne parla sempre benissimo in tv. Mariolino Corso, uno che pure ha avuto gravi problemi cardiaci proprio per quelle pasticchette, va in giro a dire che non mi conosce nemmeno. Anche Angelillo, che è stato malissimo al cuore, non vuole dire niente: sa, lui lavora ancora come osservatore per l'Inter. A parlare di quegli anni sono solo i parenti di chi se n'è andato, come Gabriella Beatrice o Alessio Saltutti, il figlio di Nello. È con loro che, grazie all'avvocato della signora Beatrice, Odo Lombardo, ora sta nascendo un'associazione di vittime del doping nel calcio».

Certo, se un grande campione come suo fratello fosse dalla vostra parte, la vostra battaglia avrebbe un testimonial straordinario...
«Per dirla chiaramente, Sandro non ha le palle per fare una cosa così».

E oggi secondo lei il doping c'è ancora?
«Sì, soprattutto nei campionati dilettanti, dove non esistono controlli: lì si bombano come bestie. Quello che più mi fa male però sono i ragazzini...».

I ragazzini?
«Ormai iniziano a dare pillole e beveroni a partire dai 14-15 anni. Io lavoro con la squadra della Borghesiana, a Roma, dove gioca anche mio figlio Michele, e dico sempre ai ragazzi di stare attenti anche al tè caldo, se non sanno cosa c'è dentro. Ho fatto anche una deposizione per il tribunale dei minori di Milano: stanno arrivando decine di denunce di padri e madri i cui figli prendono roba strana, magari corrono come dei matti in campo e poi si addormentano sul banco il giorno dopo, a scuola. Ecco, è per loro che io sto tirando fuori tutto».

Tanis Mezzelfo
07-09-2006, 02:10
magari farlo in un thead diverso da quello dove si commemora il morto par brutto eh?

qui chiudo e se ne vuoi parlare ne fai da un'altra parte...e che cazzo almeno un po' di tatto -.-